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Lungo la via Francigena

Lungo la via Francigena

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Geo Portaluppi


Free Account, Vigevano

Lungo la via Francigena

L’antefatto lo trovate da Enrico MANNA alla foto “IL DIVINO INTERROGATORIO”, dove in bella guisa sono esposte le domande di Ponzio Pilato e le risposte del teste Alighiero Dante, che fu dai Malatesta male informato sull’omicidio di Paolo e Francesca.

Era d’inverno tanto tempo fa e ora per ora la gente conduceva la propria esistenza, trotterellando senza sorrisi e senza lacrime, lungo la via che da Canterbury mena a Roma: un balzo di circa duemila chilometri. Tappa obbligata di questo pellegrinaggio, quasi nel mezzo del cammin, per dirla alla Dante, è l’abbazia di Sant’Albino nei pressi di Mortara e nelle cui vicinanze si scontrarono nel 773 gli eserciti di Carlo Magno e di Desiderio, re dei Longobardi, per dar vita (si fa per dire) a una delle più cruente battaglie, in cui morirono a bizzeffe e la città, inorridita dallo scorrere di tanto sangue, cambiò il nome in Mortis Ara, ovvero l’altare della morte.
Accadde un dì che nella chiesa di Sant’Albino entrarono un uomo e una donna di straordinaria bellezza e veleggiarono diafani nel riquadro di luce che si srotolava, come una passatoia, dal portone rimasto aperto fino a lambire il basamento dell’altare.
I due, come appresi poco dopo, erano Paolo e Francesca da Rimini e si tenevano per mano come promessi sposi manzoniani. Giunti davanti all’altare si inginocchiarono, in apparente attesa del sacerdote officiante, invece comparve una loro parente, la gentildama Orabile Beatrice vedova di Uberto di Ghiaggiolo e nipote di Guido da Montefeltro giacché costui aveva sposato la zia Manentessa di Ghiaggiolo.
La donna, vestita sontuosamente, già irata di primo mattino, apostrofò aspramente i due:

- ORABILE: Questo matrimonio non s’ha da fare, né ora né mai!

Appena le minacciose parole finirono di rimbombare sotto la volta dell’abbazia, sbucarono due clanganti fila di armigeri che si posizionarono ai due lati della chiesetta, addossandosi alle pareti, come sacrali arredi: i pochi pellegrini presenti, fischiettando tra i denti, capirono l’antifona e lesti e silenti uscirono in ordinata processione, avanti il primo, agognante di sentire scricchiolare sotto i piedi la neve dell’antistante campo innevato, e alle terga della fila l’ultimo, guardandosi dubbioso alle spalle con circospezione.
Io, non visto, mi nascosi nel confessionale, immaginando che stava per iniziare una storia di cui mi pregustavo un succoso finale.

- PAOLO: moglie mia, cara adorata, che sorpresa, di prima mattinata. Ma qui non giungemmo con il desio di maritarci, entrammo per ripararci dal freddo nevoso, non certo per divenire una moglie e il di lei sposo.
- ORABILE: E allora, imperocché vi siete genuflessi come due stoccafissi?
- PAOLO: Per mera stanchezza. Esausti siamo e i morsi della fame sono per fortuna un poco leniti da una incipiente stitichezza. Cerchiamo solo un po’ di pace.
- ORABILE: Tanta ne avrete, quanta ne bramate, non quella terrena, bensì quella eterna.
- FRANCESCA: Di quale colpa ci siamo macchiati per meritare la morte.
- ORABILE: Della peggiore. La colpa d’essere vivi.
- PAOLO: E di grazia in quale modo ci hai scovati, essendo certa della nostra meta al punto di qui appostarti innanzi tempo con armigeri armati e con la mannaia del boia.

Al silenzio della donna si contrappose un passo strascicato, misurato da penosa lentezza. Un uomo avanzava uscendo da un oscuro anfratto, pareva artificiosamente curvo sotto una gobba sollevata come fa il gatto davanti al nemico: un nuovo personaggio si stava aggiungendo alla mortale rappresentazione.

- GIANCIOTTO: Sono stato io a rivelarle il nostro rifugio segreto, immaginato quando da ragazzi giocavamo a fare i paladini di Carlo Magno e, memore del desio che da Gradara ci avrebbe portato qui a Mortara, alla ricerca dei corpi di Amelio d’Alvernia e di Amico di Beyre, morti nella pugna e celebrati da tante ballate, ho intuito che qui saresti venuto.
- PAOLO: Mio fratello, un tempo amico e ora traditore del suo stesso sangue che spargere vorrebbe in questo luogo sacro, per noi doppiamente sacro, per i nostri sogni di fanciulli.
- FRANCESCA: Siamo stati condannati a morte per una burla? Per un innocente gioco?
- PAOLO: Povera Francesca, ignara della vita, e da questa stessa vita condannata a morte. Non fu quel gioco che ci perse. Fu un ingannevole inganno di mio fratello che si finse adirato perché su di lui avevamo celiato. Ricordi quel giorno quando leggiavamo di Ginevra e di Lancillotto, l’invincibile cavaliere della Tavola Rotonda che si invaghì della sposa del suo re, di re Arturo al quale disse: “Fedeltà, sire ti giuro”.
- FRANCESCA: Sì, certo. Trovammo buffa la somiglianza tra il nome di tuo fratello, mio marito, spesso chiamato Lancialotto, e quello del cavaliere Lancillotto, e ci divertì immaginarlo in atti amorosi, lui che certo non ha le “physique du role” per fare avance a Ginevra, la regina che io, quel fatale giorno, interpretai per diletto, svenevole sul letto, con accanto il leggio per recitare una buffa scena. Mio marito, arrivato di soppiatto, si offese mortalmente e dopo una sfuriata di uomo ferito nell’onore da una celia non gradita, ci chiese di lasciare Gradara per qualche tempo, giusto il tempo che l’ira fosse sbollita, e recarci ospiti da Oberto Guidi da Romena. Vive questi in un magnifico castello con 14 torri e circondato da tre cerchie di mura, nel cui interno ci sono case per cento famiglie e un ospedale per i poveri e per i pellegrini. Quando la famiglia venne accusata d’avere falsificato dei fiorini, dovemmo lasciare il castello e ci unimmo a dei pellegrini in partenza per la Francia. Qui a sant’Albino facemmo la prima tappa.
- ORABILE: Correggo, la vostra ultima tappa! Con la morte di Paolo le terre di Ghiaggiolo, che i Malatesta usurparono nel 1262 con una truffaldina investitura, andranno a mio zio Guido da Montefeltro che insistentemente chiese il feudo a mio marito, sordo come se fosse privo d’orecchie: tra poco con quelle sarà privo anco del capo e del feudo.
- FRANCESCA: Non vorrei apparire insensibile a questo inclito pubblico, posso arrivare a comprendere l’acredine e le mire di madonna Orabile, ma io cosa c’entro?

Rannicchiato nel confessionale, per paura d’essere scoperto, non avevo scostato un lembo della tenda per guardare, mi bastava ascoltare. Mi feci più attento, non volevo perdere nemmeno una battuta ora che stava per giungere il finale. L’aria si fece ancora più gelida e per un attimo non volò neppure un mosca: a dire il vero mosche non volarono né prima né dopo, ma è una frase a effetto, e pertanto qui la metto.
Il passo dell’ultimo personaggio che si stava appropinquando era leggero, passo di dama, veloce, scattante, da grande cortigiana.

- ZAMBRASINA: Madonna Orabile Beatrice da sola non ha potere d’aizzare fratello contro fratello. Il Fato volle che trovò una alleata in me, Zambrasina Zambrasi, figlia di Tebaldello di Garatone Zambrasi, un ghibellino faentino morto nel “sanguinoso mucchio” di Forlì nel 1282, insieme al marito Ugolino dei Fantolini (N.d.t.: Il sanguinoso mucchio è riferito alla battaglia vinta da Guido di Montefeltro, zio di Orabile, contro le truppe pontificie).
- GIANCIOTTO: E lei non solo porta ancora rancore per la perdita dei suoi familiari, ma ha fatto valere i diritti che vanta su me, avendo io avuto da lei un figlio, Tino. Molto presto questo fatto diverrà noto, e per bigamia perderò la carica di podestà di Pesaro. La qual cosa mi urterebbe assai. Se voi due sparite, ci evitiamo un sacco di guai.
- ZAMBRASINA: Mettemmo in atto un diabolico piano. Con arti femminee convinsi i notabili di Firenze a licenziare Paolo, che per inscenare la tresca doveva essere a Gradara.
- PAOLO: Ora comprendo i maneggi che mi costrinsero a dare le dimissioni da capitano nel febbraio 1283 e rinunciare a un lauto stipendio. Io e Francesca dovevamo essere vicini, vicini, per perderci insieme. Che sciocco fui a non accorgermi d’essere spiato in attesa del momento propizio, che proprio noi su un vassoio d’argento vi abbiamo donato.
- ZAMBRASINA e ORABILE (in coro): La sentenza è emessa. Arroti la lama il boia!

Fu a questo punto che, non so in virtù di quale scellerato ardimento, ebbi la forza di uscire dal confessionale, raggelando tutti con la mia apparizione. Fui lesto a non perdere il vantaggio della sorpresa e con parole flautate parlai, cercando di incantare quei serpenti:

- ANONIMO: Non fia necessitade d’usare l’estrema maniera. Ci sta altra possibilitade. Udite illustri messeri e venerabili dame. Se messer Paolo e madonna Francesca vengono uccisi, un dì i loro corpi potrebbero venire ritrovati, ne seguirebbe una inchiesta con spiacevoli conseguenze. Analogamente dicasi nel caso che qualcuno formulasse precise accuse. Per contro, se vivono, ma spariscono celandosi sotto falso nome, potrebbero sempre all’uopo riapparire per confutare, con la loro vivezza, la loro morte.
- GIANCIOTTO: Questo garzoncello ha le idee chiare, mi aggrada. D’altra parte poco mi garba uccidere mio fratello, se non vi sono costretto per ragion di stato.
- PAOLO: Ilare garzoncello, di grazia, di cosa camperemo? Sono disponibile a sparire ma non vorrei vedermi costretto a denunciare mio fratello per non morire di fame.
- ANONIMO: Un mezzo ci sarebbe. Un mezzo che ci consentirebbe di fare soldi a palate.
Si dà il caso che sia capo comico di una compagnia d’attori girovaghi, saltimbanchi, roba modesta, alla buona, una banda di mestieranti alla quale farebbe comodo un primo attore e una prima donna di così rara bellezza, sapete il detto, bellezza mezza ricchezza…. Voi, messer Paolo, sarete Anacleto, l’amante segreto, e voi, madonna Francesca, v’appellerete donna Violante, la struggente amante. Lungo la via Francigena ci sono millanta teatri, all’aperto o al chiuso, e i pellegrini sono ghiotti di una storia come questa, dove il fratello uccide il fratello essendo l’amante di sua moglie: al calar del sipario un battimano nessun ci toglie.

Di Paolo e Francesca questa è la ricostruzione dell’Anonimo Lomellino, che non pretende debba essere quella giusta, tenuto conto che c’è un Dante che suona altra campana. L’Autore spera di avervi divertito alla luce della bolla di papa Niccolò IV, dell’8 agosto 1288, che concede dispensa, visti i vincoli di consanguineità, a Tino, il figlio di Gianciotto e Zambrasina e ad Agnese, figlia di Corrado da Montefeltro. Dalla bolla si evince che Tino era nato nel 1281, quando Francesca e Paolo erano, documenti alla mano, vivi e vispi. Quindi fu Gianciotto a tradire la moglie Francesca e non viceversa.
Stretta la foglia, larga la via, abbiamo parlato di corna in allegria.

Comments 23

  • Nazario Melchionda 28/03/2009 23:49

    Per poter leggere con calma il tuo inserto me lo copio nel data base delle mie preferite
    Grazie
  • roberto manicardi 12/03/2009 22:23

    meravigliosa
    ciao roberto
  • Anna Lisa Imperiali 01/03/2009 7:51

    Bellissima elaborazione, piena di luce e di significato!
  • Izabella Vegh 19/02/2009 10:02

    Adesso devo ringraziarti il Tuo commento prezioso per la mia fotografia di Innsbruck sotto la neve. Anche per me una citta molto bella. Noi invece andiamo sempre inverno con mio marito. Lui ha studiato la, e quasi ogni anno fanno ancora l'incontro con la ex scuola, compagni.
    Questa Tua foto anche (come gli altri) mi piace tanto, e tutte le storie, che scrivi attorno. Sei bravissimo un vero scrittore, oltre fotografo. Saluti dalla freddolosa Venezia: Izabella
  • Elvio Bartoli 03/02/2009 0:05

    Bella la foto (ma, IMHO, un pò pesante l'effetto). Il racconto ha l'aria di essere divertente. Certamente ripasserò a leggerlo in un orario comodo...
    Ciao
    Elvio
    :)
  • Maria Luisa Runti 21/01/2009 9:29

    Primo premio nella sezione letteraria! e noi... Misha ed io rimaniamo in attesa...:))))))))))))))!!!!!!!!!!!!!!!
  • Roberto Tagliani 20/01/2009 18:35

    Alla fine dovevo commentarla, e nel parla-parla leggi-leggi, m'è sfuggita.
    Graditissima !
  • Alessandro Rovelli 18/01/2009 17:31

    A spasso ...nel tempo....a spasso nello spazio....Geo ...il profanatore di mondi....ammirato!
  • Paolo Liguori 17/01/2009 9:13

    MERAVIGLIOSO!!! Tutto, sei davvero incredibile, mi inchino alla potenza del tuo verbo...
    oopps, anche lo scatto a bellissimo e splendidamente elaborato...;-))
    Un saluto, Paolo
  • Carla Paci 17/01/2009 8:35

    una bella foto ben elaborata da sembrare un diinto molto interessante la storia appena avro un pò di tempo voglio leggerla attentamente falla avere al Benigni chissa cos a ci potrebbe tirar fuori complimentoni per tutto Carla
  • Francesco Vigna 16/01/2009 8:22

    Non essendo così bravo come te nelle parole, sarò sintetico come nel mio stile: gradevolissimi i colori pastello che hai saputo dare a questo scatto, complimenti.
    Ciao, Francesco
  • Antonio Morri 15/01/2009 17:17

    Caro Geo, mi sono letto tutta la storia (compreso l'antefatto) e preso dalla logica e dalla simpatia del racconto ho trascorso una buona mezzora in allegria!
    Ne valeva la pena!
    Complimenti davvero per questa tua capacità narrativa e per le tante citazioni!
    Con ammirazione
    Antonio.
  • SempreGio 15/01/2009 12:24

    Bellissimo il post della foto
    la coccarda della simpatia va si alla tua bravura ma anche alla fantasia straripante che ti ritrovi :-))) è sempre uno spasso venir a farti visita :-)))) sicuramente si lasciano le tue pagine con un bel sorriso stampato fra le emozioni...
    un carissimo saluto Gio
  • adriana lissandrini 14/01/2009 19:55

    Caro Leo prometto che leggerò quando starò meglio...la febbre non mi permette di concentrarmi...ma intanto voglio esserci! Molto particolare il tuo stile, molto piacevole l'effetto pittorico conseguito.
    ciao!
  • Lunasole 14/01/2009 17:40

    Affacinante, divertente, riesci a creare delle storie particolari fantasiose ... da un'immagine.
    Unico !!! e naturalmente BRAVO !!!