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una finestra sull’ultimo mare

una finestra sull’ultimo mare

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Mehran Falsafi


Free Account, FIRENZE

una finestra sull’ultimo mare

Aveva le ossa ghiacciate, si sentivano gli scrocchi quando si spostava. Tremava come un ruban legato al ventaglio e persino la sua confusione si era congelata. Non capiva un accidente di quel che si dicevano i doganieri, o forse poliziotti, o la guardia marina, vattelappesca cos’erano. Ogni tanto tra loro si animava la discussione e si agitavano, un attimo dopo la calma apparente. Si rimettevano chi a spulciare il regolamento, chi al telefono per cercare chi sa chi.
Di intelligibile per Nasir tra le lingue nemmeno la lingua ufficiale del suo paese, il persiano, che lo parlava a malapena conoscendo bene solo il curdo, la lingua della sua etnia, figuriamoci lo Svenska!

Era arrivato fin qui attraversando l’intero mondo. Partito da Mahabad, una città al sud del lago di Urmia nella regione di Azarbaijan occidentale in Iran, aveva percorso via terra la Turchia, Bulgaria, tutta la vecchia Yugoslavia, Austria, Germania e Danimarca per poi scavalcare il mare sul treno lungo il ponte di Oresund raggiungendo la Svezia , la meta, la fine del suo interminabile viaggio.
Cercava di raggiungere il suo cugino a Malmö. Qualunque curdo ha un cugino in Svezia, o in Germania, anche se non sappia di averlo.

I curdi sono dappertutto fuori che in Kurdistan. Il Kurdistan è una Nazione, o meglio la sarebbe se avesse uno stato indipendente, ma in pratica non viene riconosciuta tale da nessuno. Da quasi nessuno! Dimenticavo gli attori di Hollywood e le first lady di mezzo mondo, meno i mariti naturalmente!
È un popolo sparso tra i vari stati, da Mesopotamia alle catene dei monti Zagros, in Iran, Iraq, Siria, Turchia, Armenia, e perseguitato ovunque perché da sempre lotta per l’indipendenza. Una Nazione di 50 milioni di anime che vivono a brandelli di minoranze, dappertutto mal considerate e maltrattate. In termine calcistico giocano in lega pro, in un terzo mondo nel terzo mondo.

L’eufemismo aiuta a capire ma la loro realtà è molto più complessa. Battersi per l’indipendenza in Kurdistan non è esattamente come chiamarsi la Padania libera o volersi distaccare dal Regno Unito. Pensate a un bambino italiano che si presenta al primo anno elementare in una scuola dove i maestri parlano solo in russo! Immaginate di dover compilare un modello 740 in ebraico.

Vanno,vengono, come le nuvole di De Andrè! Si spostano continuamente nei loro territori per scongiurare le persecuzioni, ma il bello arriva quando scappano all’estero. Lì scoprano di non essere più curdi, arabi o persiani, ma semplicemente extracomunitari. Che la loro identità conta ancora meno di prima, come se fossero milioni di auto che circolano con la stessa targa. Che il terzo mondo li segue ovunque, come un marchio di fabbrica. Che essere diversi è di natura, non naturale. Che è naturale non avere gli stessi diritti!

Solo la fede li aiuta a non sentirsi odiati da Dio. Dio che ancora non so spiegarmi se fu lui a crearci o noi a crearlo (?) Dio e l’ira di Dio che ancora non ho capito se è sua, o nostra che opera a nome suo (?), e che si abbatte sempre in testa ai più deboli.
A volte penso che l’ira e grazia di Dio siano solo due varietà di sapone, paghi uno prendi due per chi ama lavarsene le mani. Abbiamo il senno e la facoltà di giudizio, li abbiamo avuti sin dalla notte dei tempi, dalla preistoria, prima ancora di conoscere Dio. Potremmo cambiare le cose da noi, ma abbiamo inventato lui perché ci pensi lui. A lui l’onere e l’onore di compiere i miracoli scomodi, a noi quelli convenienti. Lecito mettere in discussione la sua preparazione in bioingegneria, criticare il patrimonio genetico del suo creato e modificarlo. Capaci di mettere insieme più chicchi di mais di quanto riuscì lui in una pannocchia, di fare le pannocchie multietniche, ma incapaci di unirci tra noi!
A pensarci bene non tutti gli immigrati si sono scontrati con l’ostilità dei doganieri venendo in Europa e l’America. Ai pomodori, alle patate e le pesche, ai gerani, nessuno ha mai prelevato l’impronto digitale dalle mani e dai piedi! Al petrolio e diamanti, al cotone e la soia nessuno ha mai chiesto un visto!

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Ma torniamo a Nasir. Aveva scelto proprio un bel posto per immigrare; Malmö! Sta allo stremo sud della Svezia. Così tanto al sud che di più sud ci si bagnano i piedi nel Mare del Nord! Per secoli la seconda città della Danimarca e oggi la terza della Svezia. Anticamente, e forse per certi versi ancora oggi, la città più fortificata del paese scandinavo.
Nasir s’immaginava la Scandinavia un’area tranquilla dell’Europa dove la convivenza pacifica tra le razze e religioni diverse fosse più che normale. La credeva il paradiso di civiltà e benessere sociale. Dove in effetti convivono oltre 170 nazionalità diverse, ma soprattutto dove stava il suo cugino che viveva a Malmö e gestiva una bottega di kebab. Gli aveva promesso un tetto, un letto, un lavoro e un luogo dove fare e crescere dei figli non discriminati, invece…

Invece Malmö è una città in balia di gang giovanili e gruppi razzisti che infieriscono su minoranze e immigrati. Ci fu un brutto periodo, tra 2009 e 2010, quando si verificarono ben 50 sparatorie in pieno centro, per lo più rivolte contro gli immigrati. A capodanno ci fu la fredda esecuzione di un ragazzino quindicenne. In diecimila furono scesi in piazza per una fiaccolata.
Fuggito dalla morsa di persecuzione etnica, Nasir, a sua insaputa si era infilato nel catenaccio della discriminazione razziale!
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La stanza era una specie di cabina tutta vetrata. Attraverso i vetri vedeva i muri e militari agitati. Una sedia, un tavolo, un po’ di pieghevoli in svedese, una porta che da dentro non si apriva, un chilo di paura e tre di noia, ma anche una bella tazza fumante di caffelatte e un cornetto che gli avevano offerto, in attesa di...
Nasir era tutto stordito, non dormiva da secoli e aveva le allucinazioni. Fissava il cornetto e gli sembrava un vichingo che da lì a poco lo avrebbe divorato! Era giunto lì rinchiuso nel retro oscurato di un cellulare guidato dalla pattuglia che lo aveva prelevato alla stazione mentre vagava spaesato, confuso e felice.

In patria, a Mahabad, aveva vissuto sin dall’infanzia con il sogno della Scandinavia. La maggior parte di suoi amici preferivano la Germania, ma lui no, lui voleva il massimo. Voleva finire in capo al mondo, più lontano possibile. Voleva l’ultimo mare.
Era un ragazzo buffo, ironico e divertente, faceva ridere tutti gli altri. Quando amici gli chiedevano dove era o cosa sia venuto a fare rispondeva sempre: “ a farmi la tu sorella”! Scusate il francesismo, ma diceva proprio così. Era il suo modo di scherzare, ma guai a chi gli toccava un amico, o le sorelle degli amici.
Poco prima di andarsene via da Kurdistan si era fermato da un suo parente che guarda caso per anni aveva vissuto in Svezia, reduce di un’esperienza fallimentare. Gli chiese dei consigli e tra l’altro una bella frase in svedese, una che piacesse agli svedesi. Il furfante parente, a tradimento, gli insegnò dire: “knulla din syster”! Beh, fate voi, c’è il traduttore google, io ho già dato con il francesismo!

Fatto sta che quando i militari alla stazione di Malmö gli avevano chiesto i documenti e domandato cosa era venuto a fare in Svezia lui aveva fatto un sorriso lungo tutto il viso e risposto: “knulla din syster”! ecco perché lo arrestarono!
Nasir non era cattivo, i militari ci misero poco a capirlo. Nulla tra i cenci unti, la barba sudicia e le bricolle mal odoranti che si portava dietro riusciva a coprire quella tenerezza. Fu facile per loro intuire che era preda di un brutto scherzo e che non intendesse quella risposta. Ad ogni modo avevano pensato bene di portarlo alla centrale e cercare di assicurargli una prima sistemazione. In un certo senso lo proteggevano dalla sua stessa ignoranza. D’altronde si trovava a Malmö, immaginatevi se qualche teppista di leggera inclinazione a destra gli avesse chiesto ma cosa sei venuto a fare qua!

Passò un po’ di giorni in accoglienza prima che riuscissero a sistemarlo. Nel frattempo tutto gli era passato per la mente, compreso il rimorso di non aver scelto la Germania dove tutti gli avevano consigliato di andare. Era un bel ragazzo, poteva trarne vantaggi, magari incontrando la Merkel e passare per il nipote di Sandokan. Certo non si sa come avrebbero reagito quelli della Bundes Polizei se qualcuno li avesse toccato la sorella. Non sempre la comprensione prevale il malinteso, ci vuole del talento! Il poeta Khalil Gibran diceva: “…ho trovato nella follia la libertà e la salvezza: libertà dalla solitudine e salvezza dalla comprensione, perché quelli che ci comprendono asserviscono qualcosa in noi.”

A Nasir però le cose andarono bene lo stesso. Seguendo la scia di kebab trovarono il cugino e se ne andò da lui tutto contento.
Al principio dormiva nel retrobottega. Dal cugino non poteva starci perché la casa era piccola e non gli era concesso vedere le donne che ci giravano in liberta e senza veli. Presto però gli trovarono un posto decente, una piccola mansarda con una finestra, una sola, ma sull’ultimo mare!

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Solo un caso? Una Favola a lieto fine? Sì, certo, in fondo è soltanto una piccola storia, ma poco importa, bisogna crederci lo stesso! Bisogna perché quando si crede nel lieto fine si risveglia la parte migliore di noi!

Da piccolo amavo le barrette di cioccolato alla frutta. La mamma me le comprava ma le nascondeva in tasca. Mi diceva di chiudere gli occhi e di desiderarla intensamente. Lo facevo, ma la barretta non arrivava. Dicevo mamma non arriva! Diceva ora apri gli occhi! Aprivo, e c’era! Era solo un gioco, ma per gioco mi inculcava il potere del desiderio e il dovere di aprire gli occhi!

Sì, bisogna crederci! Oggi nel mondo esistono 45 milioni di rifugiati. Non tutti trovano una finestra sul mare! Non tutti sono belli o nipoti di Sandokan, non tutti sono compresi! Sembrano 45 milioni di chicchi che mancano a quella pannocchia di Umanità cui Dio non creò intera e l’Uomo non ha desiderato. Forse non intensamente! Forse deve solo aprire gli occhi, perché il diritto di esistere non può essere solo una favola!



Buon anno a tutti!

http://youtu.be/Wb3ZsQsRp18

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nella foto: Safti Obaia

Comments 9

  • Christian Bertero 06/07/2013 14:39

    Ci vorebbe qui ... 300 commenti al meno !!!!!!!!!!!!!!!

    Ho letto tutto ... è la storia dell'umanità che vive all'ombra ...

    e mi fa pensare al titolo di uno standard di jazz "on the sunny side of the Street" ... che ricorda che i neri, negli Stati Uniti, schiavi o ex schiavi, non avevano diritto di camminare all'ombra ... perché dovevano lasciare l'ombra ai bianchi ...

    Un cordiale saluto dalla Sicilia
    Christian
  • pat-ricca 04/01/2013 16:14

    Una bella "storia", anche se amara... mi piace, come Te, immaginare il lieto fine, perchè anch'io credo che... bisogna credere!! ++++
  • Ivana Campilongo 31/12/2012 23:51

    .............grande................!!!!!

    buon anno
    e tanti tantissimi tantissimissimi lieto fine!!!! :***
  • maurizio bartolozzi 30/12/2012 22:23

    Grazie,un felice Anno Nuovo anche a te!
  • alberto16-menuder 30/12/2012 18:22

    ciao ti auguro un bellissimo 2013 ciao albertola foto è super
  • ennio valotto 30/12/2012 17:05

    Ti voglio far ridere....che il 2013 sia un anno con tutto quello che sogni....
    Io ho vissuto 19 mesi in Kirkuk , in Iraq , vivendo e lavorando con i curdi , nel 1985-86 , dividendo con loro gioie (poche) , dolori (tanti , guerra Iran Iraq ) e mi porto nel cuore un ricordo che non morira' mai , ed un abbraccio di amici che sento ancora attorno alle spalle.
    Gente strana , difficile , ma l'amicizia era vera.
    Bella la foto
    Ciao Ennio
  • Lysa Zago 30/12/2012 12:32

    Tantissimi Auguri anche a te Mehran...
    e un forte abbraccio che sia in grado (anche se soltanto metaforicamente), di coinvolgere proprio tutti,
    compresi i "personaggi" (involontari)...
    delle tue toccanti testimonianze di vita...
  • Anna Boeri 30/12/2012 9:56

    Grazie amico mio per questo dono meraviglioso ricco di simboli di bellezza e di pace.
    ..la vita si rigenera sempre...è la legge della natura a cui non ci si può sottrarre....
    Cercherò di farlo mio il più possibile, anche se non sempre è facile..
    Ti abbraccio forte e ti auguro BUON ANNO!
    Anna

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